Tutti l’hanno sempre chiamata col solo nome, Zelda, come accade per le poche donne celebri della Storia: Marilyn o Margaret, Maria Stuarda o Elisabetta, Cleopatra, Venere o Minerva.
Zelda era la fidanzatina d’America degli anni 20 perché con olimpionica naturalezza seppe deridere lo stereotipo del conformismo borghese, lanciando la sfida di una vitalità ansiosa di bruciar sé stessa.
Zelda e naturalmente Francis Scott Fidgeraldi lo scrittore dandy e abile public-relations-man che usò l’accoppiata come prodotto da offrire all’America il cui pubblico voleva storie di dissipazioni e follie.
Quella follia così ben interpretata da Zelda giovanissima ragazza che più che brillare di bellezza piaceva per il suo stile come una sorta di insolenza nei confronti della vita, con la totale mancanza di cautela e l’impavida e traboccante fierezza.
L’insostenibile leggerezza dell’essere si adattava in pieno a Zelda perché prendeva la vita alla leggera, diceva parolacce senza arrossire, sapeva giocare sul filo pericoloso di un comportamento immaturo come una sorta di vamp-bambina-mentale.
lei interessava solo vivere. Da Maschietta. Infatti aveva solo amici maschi, ma la gioventù non ha bisogno di amici, ha bisogno di folla. E Scott sapeva raccogliere la folla intorno a loro come nessun altro.
Feste sontuose e scoppiettanti di fuochi d’artificio allietavano le loro notti in compagnia di ospiti scelti fra attori scrittori e artisti in genere con qualche ganster infliltrato “con invito in smoking” perché era il tempo del proibizionismo e il racket dell’alcol era in mano alla malavita che si annidava nella Little Italy.
L’incandescente vitalità della coppia garantiva una presenza costante sui rotocalchi contendendo le prime pagine ai divi del muto che imperversavano a Hollywood.
Tutto bello, tutto fantastico fino al giorno in cui Zelda l’ex regina del jazz aprì gli occhi a causa della sofferenza che la malattia mentale insorta per gli stravizi ed eccessi, le procurava. Così compiva la sua metamorfosi da mito salottiero a donna autentica, conquistandosi ogni giorno le difficili ragioni del vivere quotidiano, senza stravaganze.
Da personaggio a donna vera il passo è stato lungo viaggiando sull’asse America-Costa Azzurra dove aveva preso coscienza di sé e della sua volontà di affermarsi anche lei come scrittrice raccogliendo un buon successo di pubblico ma non di Scott che non tollerava questa invasione di campo non riuscendo però a dividersi da lei.
I due rimasero insieme fino alla fine di lui, fulminato da ictus davanti ad un camino, alla quale seguì otto anni dopo quella di Zelda che perse la vita chiusa nella stanza di un manicomio in fiamme a compiere quel destino di bruciar sé stessa. Una vita consumata fra pochi lustrini e tanti dolori.
Il volto malinconico di Zelda non poteva che essere affidato ad attrici di elevata intensità emozionale come lo fu Mia Farrow nella versione del Grande Gatsby con Robert Redford e in quella più attuale di Carey Mulligan con Leonardo di Caprio nell’omonimo film prossimamente in uscita. L’opera è dello stesso regista di Moulin Rouge e Juliette+Romeo per cui si prevede un mixage in una sorta di feste burlesque che fan da sfondo alla tragedia di due giovani dall’amore dissoluto: poco esclusivo e molto trasgressivo ma vissuto con intensa passione fino all’ultima goccia di spirito che succhiavan dalle loro labbra per trovar la felicità nell’ebrezza e nell’oblìo perdendosi l’un dentro l’altra, come un’anima sola dalla quale gli altri erano esclusi se non come spettatori.
Così dimenticati da tutti se non fossero rimasti i libri di Scott a raccontar di loro…Zelda e Scott Fidgeraldo meglio conosciuto come il Grande Gatsby. Lei per tutti era solo Zelda. Jaaa…zzz!
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