domenica 24 novembre 2019

LA MAESTRINA DELLA TERRA DEGLI ULTIMI

Negli anni 50 l’Italia era per la maggior parte analfabeta e molte giovani maestrine venivano inviate nei paesi sperduti di provincia dove si sistemavano con tanta buona volontà e coraggio per insegnare ai bambini di quiei territori sperduti, anche se non poveri e miserevoli.
Infatti nelle campagne o in montagna si stava meglio che in città avendo cibo a volontà perché tutti coltivavano un orticello o un frutteto oppure allevavano animali da stalla o da cortile: al nord per esempio ogni casa aveva un maiale da macellare mentre al sud c’era sempre un asinello per dare latte o far trasporto. Insomma l’Italia rurale che usciva dalla guerra se la cavava bene in fatto di benessere alimentare mentre in città si pativano spesso la fame perché il cibo nei negozi era caro e il freddo per mancanza di legna. Dal negoziante molte famiglie facevano “segnare nel libretto” le cifre della spesa che saldavano a fine mese quando si prendeva il salario.
Le maestrine di questi piccoli paesi erano considerate delle autorità alla pari del farmacista del medico del prete e ovviamente del sindaco: spesso dovevano affrontare trasferimenti difficli dovendosi spostare da Nord al sud.

E’ quanto succede nel film Aspromonte Terra degli Ultimi in uscita nelle sale del regista Mimmo Calopresti il quale racconta la storia ma un filo fantasiosa del paesino Africo nelle alture del calabrese dove arriva una maestrina, Giulia Tedeschi,  calata dalla città di Como  per insegnare ai bambini .
Il territorio è ostico perché isolato non avendo una strada e un medico per cui si può morir di parto così come è accaduto poco prima dell’arrivo della maestra, impersonata da Valeria Bruni Tedeschi.
La quale fa subito conoscenza col poeta del posto, Marcello Fonte, un “personaggio” con il quale interloquisce volentieri dimostrando lui quella saggezza popolare acquisita come autodidatta che sopperisce alla mancanza di studi scolastici regolari.
La scuola ha ovviamente una sola classe e durante le lezioni nell’intervallo si presentano dei “volontari” per offrire latte caldo e formaggio ai bambini così come si usava anche al nord nelle scuole di campagna.


La maestra ben presto si integra con la comunità di quel piccolo paese di disperati caldeggiando, dopo un iniziale diniego, la mobilitazione di tutti, bambini compresi, per costruire una strada ed aprirsi al mondo rimarcando comunque la necessità di ricevere prima di tutto un’istruzione essendo quella la vera strada “maestra” per unirsi al mondo.
Non mancano gli ostacoli da superare come il veto del solito mafioso che come lo scemo del villaggio tutti conoscono e salutano ma non per simpatia. Essendo una storia fantasiosa è d’obbligo il lieto fine suggellato da un bacio del bifolco fisicato alla bella maestra dopo averla incantonata alla porta facendola felice di essere venuta in quel paese e farle apprezzare le bellezze del posto amando la sua gente semplice genuina generosa capace di impeti passionali rivoluzionari che si aiuta l’un l’altro non lasciando solo nessuno.
L’isolamento ha reso quel piccolo paese una grande famiglia nella quale si sa c’è sempre una pecora nera da neutralizzare.


Il film è molto dolce nonostante le asperità del territorio e Valeria Bruni Tedeschi affronta questa prova con umile credibilità anche se ormai porta se stessa in ogni personaggio, democraticamente parlando,  fatto di italianità ma con quel certo non so che dei cugini di campagna francesi a distaccarla un filo dal contesto a volteggiare come bollicine di sciampagne.

Infatti fa più coppia irresistibile con l’ultimo (il poeta) che con il bel figo del Paese con il quale invece è un continuo battibecco ad avvalorar comunque quel detto della saggezza popolare  che chi disprezza comprerà!

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