Con i primi raggi di sole, viene voglia di Estate e di vacanze. Negli ultimi anni sono sempre andata in Tunisia dove il clima caldo secco si gode molte.
Al Nord c’è un filo più ventilato, con un paesino caratteristico, Sidi Bou Said, posizionato su un’altura sopra Carthage, dove c’è un punto di incontro a vista panoramica in cui vengono serviti il tè Belmondok (con i pinoli) o alla menta.
E il Tè nel deserto è il titolo di un film di Bernardo Bertolucci che mi aveva molto colpito per le scene suggestive: ricordo in particolare quelle in cui Debra Winger e John Malcovich facevano il giro in bicicletta nel deserto fino ad accasciarsi a terra fra i sassi, con sole rosso del tramonto che li irradia senza alcun calore. Poi c’è l’altra in cui Malcovich va in un bordello dove trova una prostituta di una bellezza volgare ma voluttuosa che si scopre il petto mettendo a nudo due grosse tette nelle quali affonda il membro di lui per fare una spagnola. Se non fosse che lei con l’altra mano cerca di rubargli il portafoglio, potrebbe essere una scena di sublime dolcezza. Ma tutto il film è aspro e intriso di morte resa ancor più assurda dalla forzata ricerca del dolore, per poter rinascere dopo le forti emozioni che ne derivano come una sorta di araba fenice.
Solo lei ci riuscirà, sorseggiando un Tè alla menta che le offre un giovane Tuareg con il quale si congiungerà con un rituale primitivo di istintiva carnalità, dopo un preludio nel quale viene circondata da bambini che sorridendo maliziosamente le fanno linguina saettandola oscenamente. Dopo, essersi persa in un’oasi che poi le risulterà estrenea, lei riprenderà il suo cammino portandosi per sempre dietro quel sottile mal d’Africa che accompagna tutti quelli che vivono un contatto profondo con quel Paese.
Fare l’amore sotto il cielo stellato nell’assoluto silenzio del deserto è un’esperienza sacrale, perché ti fa sentire parte dell’infinito in maniera sensuale. La natura primitiva e selvaggia dell’Africa fa riaffiorare gli istinti primordiali di cui l’uomo civilizzato ha perso la memoria, per cui l’esperienza è di profonda intensità nella fusione fra spirito e materia portati agli estremi.
AMORE E MORTE DAI CLASSICI ALLA TV
Il connubio amore e morte è sempre stato associato alle tragedie dei classici Greci poi tradotte da tanti autori con Shakespeare in testa, che hanno esaltato amori passionali e morti violente sublimandole in eros e thanatos: Fedra, Il Lutto si addice ad Elettra, Otello, Giulietta e Romeo e tanti altri.Amori e delitti consumati e perpetrati dentro a uno scenario di lotte per il potere. Al cinema il tema di amore e morte ha cambiato lo sfondo nel quale sviluppare storie fra vita e morte aprendo il confine che da sempre lo ha delimitato, per cui la morte viene intesa come vita più interessante. Il successo dei film sui vampiri ne è la prova: la vita meravigliosa si svolge tutta dietro la porta del Grande Freddo, dove i morti sono più vivi che mai che godono in amplessi focosi fino all’ultimo morso.
L’uomo si è sostituito a Dio e la sua mano ha potere di vita e di morte. Il Dottor Morte infatti è il film interpretato da Al Pacino, un medico che stacca la spina su pazienti malati allo stadio terminale. Perché attendere la mano di Dio se staccando una spina si terminano tutte le sofferenze? Lui è stato processato ma poiché il tema è complesso e difficile da giudicare è stato approvato il testamento biologico dove ciascuno è libero di lasciare le proprie volontà perché Dio è dentro di noi e l’uomo decide quello che vuole essere, solo lui e nessun altro.
Nessuno può dire a un altro “Tu devi essere questo o quello” perché un uomo è colui che è: e Gesù, figlio di Dio (e non il suo profeta) è il modello di riferimento mentre il Papa è l’apostolo che diffonde il suo Verbo: l’unica verità infallibile. Questa è la fede della Religione Cattolica che non ammette il suicidio ma lascia la libertà all’uomo di firmare per farsi “operare” e lasciare che un chirurgo metta le mani dentro al suo corpo, oppure no.
La linea di confine che delimita la vita e la morte è invece molto presente nel film Di Alejandro Gonzales Inarritu “Biutiful”, interpretato magistralmente da Javier Bardem perché parla di un malato allo stadio terminale che dentro a questo tunnel della morte si trova a riflettere sulla sua vita d’inferno di famiglia allo sbando, di traffici illeciti fra morti e assassini e della sua attività di medium in contatto con i defunti dal quale trae profitto, riuscendo a combattere per riscattarsi con una vita di amore e di speranza per il futuro dei figli.
Questo per dire che il tema di vita e di morte non riguarda più la sfera dei sentimenti e delle passioni degli esseri umani così come ci è stato tramandato dai classici, ma della medicina, della religione o del paranormale. Per questo la morte è vista come fenomeno sbarcando in Tv a fare spettacolo nei talk show fra psicologi, urologi, criminologi, plastici, opinionisti, starlette e giornalisti in carriera. Per esorcizzare la paura la morte l’abbiamo trasformata in fenomenale: un incubo infinito. The One! Toc toc…C’è qualcuno lì? Era meglio non aprire quella porta…
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