“Dammi una sigaretta”.
E come lo diceva Marlene, faceva impennare gli ascolti..
Il mondo era galvanizzato da quello sguardo ironico reso ambiguo dalla mascella quadrata e volitiva ad incorniciare una bocca sottile che si schiudeva con una smorfia di perverso piacere quando accendeva la sigaretta assassina, per spandere fumo negli occhi del malcapitato di turno, il quale cadeva ai suoi piedi sedotto e mazziato.
“Cooooo…co-cò-co-cò-co-cò…”
“Chicchiricchìììììì!”
“Cooooo-co-cò-co-cò-co-cò…”
“Chicchiricchìììììì!”
La fine del prof.
Il professore, Immanuel Rath, infatti è la prima vittima illustre: duettando con Marlene, alias Angelo Azzurro, da docente rispettato e temuto, finiva per diventare lo zimbello dei suoi scolari e della Compagnia di giro.
Ma quel verso sinistro portava fortuna a quell’angelo crudele e il nome di Marlene saliva alla ribalta Internazionale galvanizzata dalla scena clou di quel film: cavalcando una sedia con la giarrettiera, ancheggiando oscenamente con il m motivetto Lola Lola….(una performance imitata poi da tante star. Rivisitata e corretta in maniera sublime da Liza Mannelli in Kabaret e riveduta e scorretta in maniera volgare da Madonna in costume Jean Paul Gautier nel Tour 1987) Marlène Dietrich ha fatto scuola di danza Kartoffein, sbattuta in salsa sado-maso. Shciack!
Sbattendo di qua e di là, a colpi di frusta si faceva largo a Hollywood che esaltava la sua figura androgina con un look ad effetto omosex, con pantaloni e giacche in doppio petto: capi-spalla che adottava per affiancare prepotentemente e spavaldamente i suoi partner riducendoli al ruolo di damerini servizievoli, e facendo strage di cuori fra il pubblico maschile.
Il più illustre è quello di “Greta Garbo” con la quale intrecciò una relazione segreta e appassionata, molto travagliata fatta di odio e amore.
Se la Garbo chiuse poi con le scene ancora giovane per alimentare il mito, la Dietrich rimase in scena fino a 80 anni dando l’addio con un recital in abito trasparente coperta di lustrini nei punti strategici e con la voce sempre roca ma modulata ad arte. Un’apparizione evanescente e raffinata con la quale ha forse cercato di cancellare il ricordo della sciantosa teutonica degli esordi dalla quale era sfuggita per liberarsi dell’ombra del Fhurer.
Purtroppo invano, perché quel motivetto Lola Lola riecheggerà per tutta l’eternità, ad evocare l’atmosfera godereccia della Berlino anni 20 quando il nazismo bussava alle porte, insieme al contrapposto e struggente Lili Marlene, la canzone simbolo dei soldati americani della seconda guerra che la Dietrich eseguiva con grande pathos.
Nonostante la durezza del carattere infatti resta memorabile la sua interpretazione sensibile in Vincitori e Vinti in una parte piccola ma incisiva dove rende una testimonianza lucida e cinica di una sopravissuta alla guerra in Germania, sotto processo per resa dei conti di tutti i misfatti perpetrati e angherie subite.
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