mercoledì 19 febbraio 2014

LA CAPANNA DELLO ZIO TOM

 I segnali ci sono stati chiari e forti: è tornato in auge lo schiavismo, non tanto quello del Ku Klus Khan nella quale la cinematografia ha attinto a lungo per raccontarlad ai tempi di Martin Luther King fino ai giorni nostri, quanto quella della Capanna dello Zio Tom nella quale la cinematografia ha attinto per raccontarla in maniera Kolossal e patinata dai tempi di Via col Vento fino ai giorni nostri con il Colore Viola.
Ma in ogni cosa c’è sempre l’altra faccia della medaglia.


Così,  ad iniziare un filone che sembrava quasi dimenticato per raccontare la schiavitù dei negri nelle piantagioni in tutta la loro crudezza, perché non sempre è lo schiavo a trionfare così come abbiamo visto  con il Gladiatore schiacciato dal potente inetto e vizioso, era stato il film Mandingo, prodotto da Dino De Laurentis, che negli anni ’70 aveva riscosso grande successo.
Il maschione nero forte di tempra e combattente sul ring, aveva galvanizzato le platee soprattutto quelle femministe che con quel film venivano mortificate nella battaglia per la discriminazione sessuale perché durante lo schiavismo nelle piantagioni di cotone le donne come gli uomini partecipavano attivamente nella scelta della carne di manzo da comprare, andando a tastare nel mercato il pacco bello corredato a dovere dei due marroni per non doversi portare a casa una patacca.

Come a dire vedere cammello pagare moneta.
La padrona, vecchia o brutta, giovane o bella, era sempre comunque la mona della situazione che lo schiavo doveva onorare, magari montandola a dovere.
In Mandingo per fortuna, ma si fa per dire, la padrona era Susan George, una biondina pruriginosa passata come una meteora perché dopo quel film le fecero il culo, e non si fa per dire, con Il Cane di Paglia affiancata da Dustin Hoffman nel ruolo del novello sposo.
Ma galeotto fu  quel bacio col Mandingo perché fu scoperta dal marito che, anche se si scopava la schiava di colore, non tollerava un rivale nero mandandolo a bollire in pentola.

Finale raccapricciante che comunque aveva contribuito all’orrore aprendo la strada alla compassione per la condizione delle minoranze nere dai tempi delle Piantagioni di cotone fino ad arrivare alla Casa Bianca con gli Obama.

I quali l’anno scorso, nonostante fosse candidato il film sullo schiavismo Django Unchained, avevano “preferito” sorvolare premiando Argo diretto dal protagonista Ben Affleck in missione in Medio Oriente, la zona calda da tenere d’occhio nella quale la rivoluzione e guerra civile si stava espandendo a macchia d’olio. Sempre e comunque nero.
Sarebbe come a dire guardare a casa degli altri per non vedere la trave che sta cadendo addosso. Infatti in America proprio in questo anno si sono verificati casi di intolleranza estrema perché rivolti perfino a dei bambini di colore che il Presidente Obama ha difeso platealmente dicendo che quel bambino poteva essere lui. Finalmente aveva aperto gli occhi.

Così sul filone dello schiavismo nero il cinema nero ha pensato di insistere con un nuovo film 12 YEARS A SLAVE che, si dice, sarà candidato all’Oscar 2014 con due protagonisti, padrone e schiavo rispettivamente interpretati da Michael Fassbender e Chiwetel Ejiofor con il terzo uomo interpretato da Brad Pitt e con la solita donna schiava malmenata brutalmente per dare il tocco del raccapriccio  alla situazione.
In pratica sembra un copione già visto con Django Unchained che invece con la regia di Quenteen Tarantino è stato ignorato. Ma un nome e un destino: Tarantino come anagramma di Tara ti No.


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