venerdì 4 dicembre 2020

MAXIPROCESSO IN DOCUFICTION

         

Su Rai uno la docufiction Io Giudice Popolare al Maxiprocesso.


Brillante soluzione quella di fare un parallelo fra docu e fiction dove il maxi processo nel bunker ai mafiosi si attineva alla realtà mentre Giudici popolari e magistrati sono stati liberamente rappresentati ispirandosi al loro vissuto con relative problematiche per la scelta difficile, alternate alle testimonianze reali dei veri protagonisti del maxiprocesso, con il contributo di Luciano Violante e i fratelli Dalla Chiesa.

Insomma un dramma nel dramma perchè quel processo alla mafia degli anni 80 (1986 per la precisione)  poco prima della morte di Borsellino e Falcone, confermava quel detto che le disgrazie non arrivano mai da sole. Infatti tutta una serie di eventi drammatici accompagnavano i giudici popolari e la scorta vittime di incidenti di percorso, minacce, vandalismi pesanti per farli desistere dall'impegno assunto come persone comuni chiamate a dare il colpo di grazia a cosa nostra. Missione compiuta dopo molte sofferenze e sacrifici che sono stati compensati dalla soddisfazione di aver scosso le coscienze dei siciliani che finalmente si erano accorti, dopo tanti “nun' saccio: nulla vidi, nulla so” che la mafia esisteva come male della società da punire secondo giustizia di uno Stato molto presente a costo di morire, come Alberto Dalla Chiesa e tanti altri magistrati carabinieri e uomini delle scorte.

La protagonista è interpretata da una sensibile fragile ma forte Donatella Finocchiaro, (supportata negli attacchi di panico da una collega giudice popolare più tosta) attrice affermata che speriamo di vedere più spesso, affiancata da Nino Frassica la vera rivelazione della docufiction avendo smesso i panni del comico per calzare a pennello quelli del Presidente della Corte Alfonso Giordano conferendo al personaggio credibilità alla sua autorevolezza e grande umanità. Il piglio deciso e determinato ha cancellato il personaggio Frassica costruito in tanti anni di onorata comicità ma la svolta si è rivelata sorprendentemente vincente. Il Giudice Pietro Grasso è stato riproposto come ce lo immaginavamo da giovane, gentile ed educato, da un attore molto somigliante che ha portato alla luce storie inedite del suo privato quando si metteva sullo stesso piano dei giudici popolari per rincuorarli e dar loro coraggio, condividendo problematiche per i figli adolescenti esposti nel subire angherie da parte di compagni con conseguente astio verso i genitori non comprendendo l'importanza di aver messo il dovere verso il proprio Paese prima di quello verso la famiglia. Tanto coraggio è stato comunque alla fine premiato.

Il processo alle famiglie mafiose è stato rappresentato in docu con la sfilata degli imputati eccellenti che mandavano messaggi minacciosi alla Corte restando muti sulle domande respingendo con forza ogni addebito contestato urlando la loro innocenza, puntualmente smentita dalla testimonianza dei cosiddetti pentiti come Tommaso Buscetta in primis che abbiamo conosciuto in modo più approfondito con il film Il Traditore interpretato da Pier Francesco Favino, e del quale resta impressa la sua presentazione alla Corte: “Non sono un pentito ma un dissidente perchè non mi riconosco più nel sistema mafioso che ammazza donne e piccirilli”.

La sua è stata la testimonianza chiave per aver inchiodato uno dei capi in un confronto in aula alla quale hanno assistito i mafiosi dalla gabbia  facendo gesti plateali minacciosi come la simulazione del taglio alla gola verso i giudici popolari o a bocche cucite veramente con tanto di ago e filo. L'orrore nell'orrore seguito al racconto della stanza della morte dove venivano interrogate le vittime, anche innocenti che non avevano sgarrato ma solo per essere conoscenti di amici degli amici, per essere poi strangolate e gettate nell'acido dove il corpo si liquefaceva in pochi minuti. Man mano che si svolgeva il processo tutte le paure e le incertezze dei giudici popolari (per la maggior parte donne spose e madri di famiglia)  svanivano dando loro una grande forza nella consapevolezza di aver fatto una cosa giusta per la Sicilia e per il tutto il Paese.

Una docufiction che ha attirato l'attenzione e l'interesse proprio perchè intervallava le scene reali a quelle recitate di tanti personaggi animati da sete di giustizia ma non come una sorta di gioco al massacro bensì come un gioco agli scacchi dove le mosse incrociate fra il bene e il male è stato quest'ultimo a soccombere di fronte alla forza di un gruppo di persone oneste e perbene con la cultura della vita, perchè la mafia è simbolo di morte e tragedie. Non è la serie patinata del Padrino con i Corleonesi tanto carucci! 


Nessun commento:

Posta un commento