lunedì 29 novembre 2021

LA VIOLENZA NON E' UNA FICTION

 La violenza sulle donne non è una fiction, siamo tutte d'accordo. Sì però dalle fiction possono arrivare delle dritte per illuminare sulle modalità difensive.

In Blanca per esempio, la serie in onda su Rai Uno, la protagonista (Maria Chiara Giannetta) non vedente e consulente della Polizia per decodificare suoni quando si attiva nel farsi carico delle responsabilità nel difendere le donne vittime di violenza a costo di infrangere le regole per accelerar l'azione e non arrivare a fatto compiuto, l'Ispettore di Polizia (Giuseppe Zeno) che lei affianca nelle indagini la frena istruendola sulla procedura da seguire perchè: “...non possiamo salvare tutti”. Come a dire che a volte anche la Polizia abbia le mani legate muovendosi soltanto quando ci siano prove ad incastrare lo stalker o l'aspirante assassino non ritenendo sufficiente l'intuizione, seppur geniale, che porterebbe sulle sue tracce.Ne consegue che le donne devono imparare a difendersi da sole sfoderando la stessa implacabile determinazione di un animale quando deve difendere i suoi cuccioli.


“Io t'accide, io t'accide, io t'accide...”
 minacciava Sophia Loren in Filumena Marturano quando Don Mimì (Marcello Mastroianni) voleva riconoscere solo un figlio naturale dei tre di lei mettendoli così l'uno contro l'altro e contro la loro stessa madre. Per fortuna invece che lui rispondeva con un lungo bacio e tutto finiva nel Merolone secondo copione della sceneggiata napoletana, del quale Mario Merola è stato appunto il più acclamato protagonista.Ma la violenza anche se perpetrata da una donna non è una fiction né tanto meno un film, siamo tutte d'accordo,  però si può ricevere una dritta per aiutare a convincere le donne a manifestarla o perpetrarla in caso di pericolo anche per difendere sé stesse oltre che la prole. Come diceva il tale (Napoleone) la miglior difesa è l'attacco.

Le donne da secoli e millenni, a differenza degli uomini che hanno sempre ascoltato il loro istinto assassino, invece si sono immedesimate nel ruolo di madri come la più alta forma vitale per dare un senso di sacralità alla loro esistenza che le ha portate a sviluppare la cultura della vita  per incanalare l'istinto assassino solo in legittima difesa dei loro cuccioli, ammantandosi di una missione maternale e salvifica anche verso i “cuccioloni” padri fratelli mariti e amanti con particolare riguardo verso quelli fragili “mentalmente disturbati”. “Io ti salverò” è infatti il primo pensiero che frulla per la testa di una donna appena si innamora di una canaglia pensando di cambiarla senza ascoltare il campanello di allarme a metterla sul “chi vive” (e non si fa per dire) appena manifesta il primo atto di violenza “menando le mani” anche solo per uno schiaffo. E questo vale anche per un famigliare perchè un conto è la sculacciata educativa di una madre, un altro è un manrovescio di un uomo che ti sovrasta con una stazza superiore facendo inevitabilmente molto male.


Nel film Lo schiaffo per esempio un padre (Lino Ventura) mollava ceffoni alla figlia (Isabelle Adjani) adolescente 
 prchè voleva raggiungere all'estero il fidanzato mostrando un sentimento di gelosia e di possesso esagerato da “disturbo mentale” appunto, che invece per  la cultura dell'epoca (anni 70) era esaltato come forma d'amore genitoriale (che poi crescendo diventava quello del moroso del marito dell'amante  i quali con il ceffone mettevan la firma sul loro amore violento). Purtroppo oggi nonostante venga insegnato alle donne che qualsiasi forma di violenza perpetrata su di loro non sia amore, molte sono ancora restìe a denunciare non solo per un complesso salvifico  ma per problematiche  da risolvere pratiche in primis come  per esempio la mancanza di lavoro a renderle indipendenti, che le inducono a scegliere di subire per amore dei figli da crescere. Per i loro figli sono disposte a farsi massacrar di botte, senza nemmeno permettersi  di farsi prendere dalla rabbia nell'urlare con aria talmente minacciosa da poterlo impaurire e farlo desistere:  “Io t'accide, io t'accide, io t'accide”, restando invece rassegnate nell'angosciante attesa del momento in cui sia lui a farlo.

Questo per dire che per contrastare il femminicidio non bastano cortei di protesta, contattare centri antiviolenza, denunciare alle Forze dell'Ordine  o illudersi che porgendo l'altra guancia l'amore trionfera' visto come il fenonemo sia sempre più in aumento perchè bisogna innanzitutto far delle domande per ottenere delle risposte che possano arginare questo fenomeno delinquenziale una delle quali potrebbe trovarsi nel fatto che con la pandemia, ma non solo perchè sono già diversi anni che questo succede,  molte donne studentesse casalinghe o lavoratrici, abbiano perso la loro autonomia causa mancanza di lavoro per sé e per i loro uomini  rimasti senza prospettiva di un futuro, e dove l'unica possibilità di veder qualcosa crescere sia il loro pisello, e scusate s'è poco. Va benissimo! perchè a questo punto la violenza è solo per fiction. E scusate la battuta ma cade a fagiolo.

A concludere realmente: meno bamboccioni, meno disoccupati con reddito di cittadinanza meno smart working. Insomma meno uomini a ciondolar per casa (e dove le violenze domestiche sono in maggioranza) e più lavoro per tutti in pari opportunità e dignità. Questo è il problema per cui ci si deve attivare. Non sarà l'unico ma è molto mportante. E scusate il pragmatismo. 


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