venerdì 18 gennaio 2019

DOLCETTI IN SCATOLA O IN CABARET

Il dato è allarmante. Molte industrie dolciarie sono costrette a chiudere i battenti Sono finiti i tempi in cui nelle Tv italiane non mancavano mai , nelle grandi feste come Pasqua e Natale, panettoni pandorini o colombe a volontà che andavano a ruba fra gli scaffali dei negozi e supermercati. Non c'era festa nella quale gli ospiti si presentassero con scatole di cioccolatini fondenti, al latte o ripieni con bella figura assicurata mentre al mattino a colazione abbondavano i barattoli di marmellata o nutella con le brioches.Adesso si viaggia veloci perchè se non arrivi in tempo agli appuntamenti come l'asilo, la scuola l'ufficio o la bottega sei tagliato fuori dal giro della corsa al presenzialismo sociale. il cui segreto (di pulcinella) per avere successo è arrivare primi.Così anche i bambini fanno colazione al Bar insieme a mammina o papà imparando a scandire la giornata con ritmo e dinamismo senza perdere tempo in cucina.

I Bar e le pasticcerie sono diventate la metà preferita delle famiglie e dei bambini golosi che hanno così imparato ad affinare il gusto crescendo con un palato fino che distingue il dolce fresco da quello in scatola, così come in tutti gli altri settori della gastronomia e gourmet, quest'ultimo diventato sempre più ricercato ma comunque consumato principalmente da cani e gatti.
Non è difficile vedere di prima mattina famigliole con passeggini sostare davanti a un capuccino e  cannoncini, cannoli babà o bigné vari. Anche i supermercati si sono adeguati sfornando insieme al pane paste fresche grandi o mignon servite a peso sul vassoio o cabaret da consumare a casa o in qualche festicciola di compleanno o quant'altro ad accompagnare un cioccolato party, rigorosamente in tazza calda e fumante preparata all'istante con il Ciobar  e panna spry.


Tutte queste feste “party-cameo” hanno fatto scendere in picchiata le vendite dei mitici dolcetti “ditelo con un cioccolatino” insieme ai gianduiotti torroncini ovetti così come le merendine “lievitate” nel prezzo (una confezione costa quanto tre pastine mignon) che si sono afflosciati negli scaffali rimanendo invenduti.
Sembra una corsa verso la fine che non è possibile arginare perchè non basta la buona volontà, come il panettone Motta per esempio che in piena crisi ha voluto offrire un prodotto di alta qualità (perchè quest'anno il panettone Motta non solo era fresco ma anche di grande bontà strapieno di uvette) offerto al consumatore compri 3 e paghi uno per smaltire una grossa produzione per pagar le maestranze  e chiudere alla grande come una sorta di canto del cigno.

Una danza dolente che comunque non ha tolto la speranza che questi marchi importanti possano perpetrare non tanto la specie “dei rampolli” quanto la specialità del prodotto trovando compratori per diffonderlo su larga scala nei mercati internazionali perchè in Italia abbiamo messo la puzza sotto al naso grazie alla “cultura” del cibo in pasta fresca nella quale hanno messo le mani grandi chef o piccole botteghe di pasticceria fino ad arrivare alla cupola con pasticci e pasticcini a caro prezzo dell'industria dociaria quella gloriosa che ha fatto la storia dell'Italia . E così la crisi dell’industria è servita perchè la storia dell'Italia siamo noi e solo come noi italiani sappiamo farci del male con Parma in primis città modello della “cultura” dei pasticcini. A cupola e in vassoio, a piacere percracco! Crac! Di crac in cracco e mani in pasta fresca è diventata capitale dei pasticcini in cabaret!

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