mercoledì 16 ottobre 2019

LE VERITA’ TRA LES FEUILLES MORTES


Hikazu Kore’eda è un regista Giapponese che si è affermato in Occidente con due bellissimi film come Ritratto di Famiglia con Tempesta e Affari di Famiglia dove le problematiche  si dipanano in un tema ambientalista, il primo con l’arrivo di un ciclone (problema attualissimo in Giappone) e il secondo rivolto al welfare e le pensioni sociali del ceto povero, con un punto in comune incentrato sul pilastro della “Grande Madre”, la vecchia nonna intorno alla quale girano figli nipoti e disabili perché distribuisce loro amore ma soprattutto la sua pensione. Touchée.
Della serie siamo tutti bamboccioni, globalmente parlando.I film sono comunque intrisi di poesia tutta giapponese dove mancano solo i fiori di pesco a fare da cornice per cui il Paese ne esce devastato e non in formato cartolina.
Operazione questa che il regista  Hirokazu Kore’eda  ha invece riservato al film Le Verità girato in una Parigi autunnale  con Les Feuilles morte che come da copione dell’omonima canzone cadono “…se ramassent à la pelle, les souvenirs e le regrets aussi,,,”,  ma riprese con la poetica giapponese rappresentando un paesaggio incantato mixato nei colori caldi del fogliame  e freddi dei giardini pieni di siepi e prati verdi così come riprodotti  dai grandi pittori impressionisti francesi.
L’impressione a caldo e freddo è quella che il regista si sia ispirato comunque a Sinfonia d’Autunno di Ingmar Bregman con Ingrid Bergman e Liv Ulman entrambe nei ruoli rispettivamente di madre artista ingombrante e figlia d’arte timida e modesta che non riuscendo ad esserne all’altezza resta schiacciata facendola ripiegare su se stessa.


Il film Le Verità affronta questo  conflitto con dinamismo facendo duettare le protagoniste Catherine Deneuve nel ruolo della Madre e Diva accentratrice e Juliette Binoche in quella di una figlia intellettuale e sensibile ma comunque combattiva nel voler travolgere la madre con il suo rancore di figlia trascurata sbattendole in casa (una grande e bellissima casa in periferia con giardino e parco ) un ritratto di famiglia felice per prendersi la rivincita sulla solitudine della vecchia diva ormai costretta a fare  un film di serie B in un ruolo secondario pur di lavorare in primis e poi per non perdere l’amore (il solo che conosca) del suo pubblico ma anche per risolvere un nodo della sua vita passata formatosi nella competizione con un’altra attrice a nome Sara alla quale aveva soffiato una parte andando a letto col regista e che l’attuale protagonista di belle speranze di questo film che stan girando si dice che la incarni.



Catherine, ancora bella e tonica, è vestita da  “Oui, je suis Catherine Deneuve”  anche se in forma matronale col classico soprabito animalier : in una sequenza memorabile da Souvenir de Paris, viene fatta sfilare col cagnolino su un Viale che taglia un parco, una sorta di Viale del Tramonto sul quale sono cadute tutte le foglie mentre l’inverno batte alle porte dell’ancienne Grand Mère da lei impersonata.
Juliette Binoche, cinquant’enne ancora bella e tonica, è vestita da intellettuale con il blazer e pantaloni con in dotazione una figlia piccola evidentemente avuta a una certa età così come tante coppie al giorno d’oggi che hanno dato spazio alla carriera prima di fare un figlio ed avere il tempo di occuparsene.

Piccole riflessioni comunque su un film ambizioso fin troppo cervellotico con l’impronta teatrale nei dialoghi e nella sceneggiatura (stesa dal regista proprio per il teatro) il cui tema si dipana in parallelo tra un film  girato negli studios in fanta-favola  e il festeggiamento delle memorie della diva Catherine dove impunemente si fa bella nel ruolo di madre tralasciando  spiegazioni su un lato oscuro e scandaloso della sua vita che la figlia continua a rinfacciarglielo non riuscendo a perdonare.
Così tra scheletri nell’armadio, dissapori, contrasti via vai di ex e di segretari che fanno valigie ma non le vanno mai a ritirare per tornare ad un solo cenno di scuse per non essere stati citati nelle memorie nonostante i 40 anni di servizio, tra confessioni  (la gelosia verso Sara che le aveva rubato l’amore della figlia) e autoassoluzioni per mancanza di sensi di colpa (per il tradimento e il conseguente suicidio della rivale)  riaffiorano nel rapporto madre e figlia anche le emozioni represse  sfociando in un ballo finale in strada con baci e abbracci e tanto sentimento. Quel sentimento che nella realtà la star non è mai riuscita a dimostrare esplodendo nel ritrovar la giusta ispirazione come attrice, dopo aver bevuto alla fonte della sua famiglia “in Love”, per tradurlo in recitazione nel girare una scena del suo film con sicuro successo chiudendo alla grande. O fose no ma non è un problema.
“Eravamo un po’ a disagio” dice Juliette Binoche parlando del problema della regia di questo regista giapponese che entrambe le protagoniste hanno fortemente voluto,  ma non si vede perché coperto dalla loro grande professionalità  pur essendo privo di quel filo di spontaneo feeling che si instaura con un regista della tua stessa cultura anche se il linguaggio universale  della famiglia è di serie “tutto il mondo è Paese”.
Oddio questo non è proprio il mondo di tutti perché essere figli d’arte è un privilegio per pochi (anche se con il talento non si è mai all’altezza del Grande di famiglia) ma il tema del conflitto tra madre forte e figlia sensibile è sempre attuale e molto diffuso per cui deve considerarsi anche questo un privilegio perché quando si cresce si ritrova la forza originaria impressa nel DNA per il percorso della propria strada superando ostacoli.


La riflessione è racchiusa nella domanda della madre alla figlia sui suoi rapporti col marito “E’ più bravo come attore o come amante?”
“Come amante perché come attore non è granchè” rivela con questa battuta leggera e brillante la figlia superando cinicamente la sua sensibilità di intellettuale radical chic senza sfumature.
“Anche il mio attuale fidanzato è più bravo come cuoco che come amante” risponde lapidaria la madre ritratta come una sorta di archetipo della strega terrificante che invece trova piacere solo nel mangiare dolci.
 Ecco dunque Le Verità, uguali per tutte e due avendo trovato un punto di incontro nelle confessioni di madre e figlia in complicità come due donne forti e disincantate restando divise nella scelta degli amanti che comunque entrambe usano per soddisfare i loro bisogni primari rivolti rispettivamente  agli appetiti culinari e di letto.


 Il film non ha vinto a Venezia nonostante il trionfalismi di apertura per la coppia eccellente al femminile un binomio che come tutte le mode ha fatto il suo tempo, tempo scaduto se si paragona alla fine e sottile Sinfonia d’Autunno di un grande maestro come Bergman che il film l’ha girato nel suo Paese con attrici del luogo in sinergia perfetta asciutta e rigorosa senza l’effetto Cartolina dalla Svezia, saluti e baci.

                             CATHERINE DENEUVE LA SEDUZIONE DI CLASSE


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