mercoledì 16 ottobre 2019

I DUE FOSCARI CON ZAMPATA DA GALLINA


“O patrizi…tremate..L’Eterno l’opre vostre misura. D’onta eterna di immensa sciagura Egli giusto pagarvi saprà”.Un lungo applauso chiude la scena VIII atto Primo dell’Opera I Due Foscari nella serata dell’11 ottobre del Verdi Festival 2019.
“Ma nessuno che faccia buuuu…Lucrezia l’ha proprio massacrata. Una gallina…”
Dalla Tv Croata un giornalista accreditato così commenta l’esibizione di Lucrezia al quale fanno eco in coro non del Regio ma degli amici giunti da Trieste.
“Scrivo tutto”. Replico io. Silenzio tombale da Tempio della Lirica poi il brusìo cambia registro e alla fine della scena quando Lucrezia piange con i bambini maltrattata da Barbato si alza il grido “Brava Brava” perdendo in credibilità nel neutralizzare i feroci commenti ma comunque molto stilée, come a dire una Lucrezia in Coco Chanel e pied de poule.
Che vuoi che ne sappiano di Verdi…sono venuti attirati dalla nomea del Teatro Regio che infatti prima dell’apertura del sipario hanno commentato con grande ammirazione (“E’ bellissimo, meraviglioso, pensavamo fosse più piccolo …Certo che da noi ce li scordiamo Teatri così…”) per cui più che l’Opera poté il Tempio Lirico del quale Parma giustamente si vanta per il glorioso passato testimoniato dalla vendita dei CD degli anni d’oro, andati a ruba nel foyer perché “non ci sono più i tenori e i soprano di una volta”. Sì ma soprattutto gli allestimenti degli antichi fasti.
Se nel Nabucco c’è stato un maldestro tentativo di innovazione sperimentale per questi Due Foscari sembra un allestimento low coast per la scenografia ridotta a minimal con una lunga parete a sbarre e un buco posizionato in basso alternato ad una scala posizionata in alto ad effetto Sali e scendi dalla prigione del Foscari junior figlio del Doge di Venezia.
Il quale dal suo Palazzo (un gioiello inestimabile di architettura e arredo che accoglie milioni di visitatori) in vestaglia viola si aggira per la stanza disadorna composta da un tavolo una penna d’oca un fioco lume per inscenar una privacy spartana. Niente stucchi lampadari tappezzerie damascate tappeti d’Oriente e tutto quel dècor del Palazzo del Doge che tanto lustro ha dato e continua a dare alla città.

Lei Lucrezia è in verde che cambia tonalità a seconda delle luci andando dal verde petrolio quando entra in scena con le ancelle di bianco vestite con una stellina luminosa (a petrolio si presume) in mano. Stelline dorate che intorno alla protagonista accendevano le sfaccettature del verde del suo abito il quale si trasformava in color smeraldo in un cambio d’abito ad effetto luce:  questa è una scinitilla geniale e va detto.
L’opera proseguiva per svolgere la trama di un destino crudele e beffardo come da Verdiano copione dove l’attimo è sempre sfuggente perché il figlio del Doge muore un attimo prima della confessione del vero traditore della Repubblica Marinara mentre il padre ne segue la sorte un attimo dopo aver appreso il nome del suo sostituto per prendergli il posto sul trono unico arredo in una sala spoglia.
Viva il riciclo! Si sono alzate in coro le voci dei melomani locali in difesa del lavoro svolto dalle maestranze che ci starebbe bene se tale lavoro artigianale  fosse un gioco ad incastri in un fa e disfa a riprodurre nuove forme varie e innovative e possibilmente a tema, ma una sedia, una scala, una lunga serie di sbarre un tavolo ed un fioco lume sono troppo poche finendo per ridurre l’Opera dalla sua spettacolarità tradizionale, in un concerto con il solo arredo di un leggìo.

Anche il riciclo è un’arte di tutto rispetto se non si corre il rischio di ricavare da un tronco d’albero reciso per vecchiaia uno stuzzicante e dopo aver usato una motosega un’ascia un’incudine e un martello scalpello e giri di vite intingendo il pennello nelle colle in uno dispendio di lavoro e maestranze. Sotto o malpagate peraltro come dimostrano tante manifestazioni inscenate in concomitanza delle prime nei tempi recenti fuori dal Teatro che quest’anno comunque prima dell’entrata per vedere l’Opera I Due Foscari ha presentato in strada un piccolo stacchetto di danza classica sulle note della lirica con tante fanciulle aggraziate in tuta da saggio ginnico con lo chignon in testa. Gli applausi sono stati calorosi per questa sorta di ouverture danzante e alla fine dell’Opera anche molto generosi, onore e rispetto per tutti:  nessun buu né dalla platea né dal loggione ma solo quel brusìo da un gruppo calato dal Nord Italia (Trieste) e dalla Croazia che aveva espresso il suo dissenso sulla “Zampata della Gallina”.
Mai sentito un simile commento ma ci sta perché l’importante , anche se con polemiche e indignazioni oltre ai tripudi ed ovazioni, è che se ne parli così a rendere l’Opera Lirica sempre viva. Viva Verdi, Viva il Teatro Regio! Zum pap-pà…zum pap-pà.

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