Il Borghese Gentiluomo è un'opera di Molière poco rappresentata per cui risulta difficile fare un parallelo tra la trasposizione classica e quella contemporanea in scena a Teatro Due con la regia di Filippo Dini.
Il quale dopo l'Ivano dello scorso anno si conferma con una traduzione del classico in liberty.
Le scenografie infatti sono composte da pareti roteanti interscambialibili in stile art déco, corredate da lampadari a gocce a bagliori saettanti per sottolineare lo scintillìo del lusso fra divani e tapezzerie in pendant in una sorta di gazzabuglio fra l'antico, il modernariato ed il metallaro punk caricando di disordine la scena per renderla come in una sorta di bordello pimpante e variegatra a supportare una comicità di un parvenu: In odor di nobiltà.
Questa opera di Molière non è una comedie balet a ritmo di un minuetto a cavallo seicentoe settecento, ma una ballata al suon di una pianola incasinata nella Belle Epoque.
Tanto chiasso in frizzi e lazzi per inquadrare l'ascesa al vertice della nobiltà di un rozzo figlio di mercante diventato talmente ricco da potersi permettere di comprare anche un titolo per elevar la sua persona ad alto rango con relativa stemma a una sorta de' casato de' noantri.
La commedia rappresentata a Teatro Due cade a fagiolo nell'insediamento di Donald Trumpo alla Casa Bianca, prestandosi ampiamento al parallelo perchè anche lui ricco borghese rampichino che grazie all'aiutino di Vladimir Putin è riuscito nell'intento di “comprarsi” il titolo di Presidente degli Stati Uniti pur non avendo i requisiti per governare come statista illuminato, rimanendo sempre e comunque un pidocchio arricchito.
Tutto ruota, come in ogni opera di Molière, intorno al protagfonista, signor Jourdain (Filippo Dini) circondato da nobili squattrinati, stilisti cialtroni, servette petulanti e saccenti, servi tontoloni, vedove eleganti e raffinate che aprono le gambe di nascosto in modo signorile, figlie truzze assatanate e moglie sciuretta ben felice del suo stato di ricca borgfhese stimata e onorata conscia del fatto che in business classe sarebbe additata con spregio come rampichina.
Dopo il palleggio delle battute comiche (esilaranti e sganascianti per un pubblico già preparato al divertissment da un intenso battage pubblicitario e suadente giusto per una massa di “pecoroni” tanto per citare Mastroianni in Ginger e Fred di Fellini), a rappresentare il fascino pacchiano della borghesia che si stava imponendo avendo pane e denti per mettere le mani in pasta nelle brioches della nobiltà. Finita male come si sa.
Anche la commedia finisce male con un escamotage nel quale il protagonista si ravvede dopo averle prese di santa ragione da tutti quelli che gli “volevano bene”, a lui ed al patrimonio che stava dilapitando distribuendo mance a tutti i profittatori adulatori.
La regia è dinamica per cui le due ore passano in fretta anche senza intervallo perchè all'interscambio delle scene provvedono gli artisti stessi muovendo agilmente le parenti roteanti nel piroettante arredo in art dèco con sottofondo il leit motiv della pianola. Tanti applausi per tutti e tanti sorrisi di soddisfazione fra il pubblico:”Finalmente una bella commedia”
E si sa il pubblico nei giudizi è sempre sovrano. O forse era la claque?
Tra il classico ed il contemporaneo la claque non si è mai innovata restando rumorosamente immutata nei secoli e millenni della storia del teatro.
Nessun commento:
Posta un commento