giovedì 24 ottobre 2013

LA VITA DI ADELE : DANZA DEL VENTRE E LECCATA INFINITA


                           LA DANZA DEL VENTRE DELL’HAREM
A Cannes vince la Palma D’oro il regista Tunisino Abdel Kechice che si era già fatto conoscere con Cous Cous con una scena finale di Danza del Ventre di una ragazza un filo in pancetta molto sensuale e seducente.
Quella danza del ventre che negli Harem la faceva da padrona, nei secoli e millenni, fra le odalische mollemente adagiate su divani e sofà le quali ammiravano quelle che facevano sorridere la pancia con movenze ammiccanti, in attesa di passare la notte col sultano signore assoluto, intrecciando nel frattempo liaisons fra di loro o con gli eunuchi così ben illustrate nelle Mille e Una Notte.
La danza del ventre quella fra donne nude pelo a pelo, come preliminare per un lingua in bocca e poi in pube, è gioco maschio. Nel senso che il maschio la caldeggia come parte integrante di storie erotiche e passionali. Per un piacere reciproco ovviamente dove lui guardando si ringalluzzisce di fronte a gallinelle in calore che si beccano fra di loro, alle quali poi si offre in premio: prima l’una e poi le altre. Tranquille ce n’è per tutte!
E’ il trionfo del sultanato al quale Cannes ha offerto la Palma d’Oro con il film La Vie D’Adele, storia di due giovani amanti che nell’arco di un film di tre ore si leccano la micia in calore, con tanto amore.
Miracolo dell’amore che la Giuria tutta compatta ha deciso di premiare con una risposta al Black Swan premio Oscar ma trionfo dell’amore lesbo in negativo. Nell’harem è tutta un’altra musica e non certo quella di Chajcowsky del Lago dei Cigni.
La musica araba si sa è sensuale a tambur battente in sincrono con il roteare dell’ombelico che ipnotizza facendo da richiamo irresistibile sia per il maschio che per la femmina. E’ quella danza che Lea Seydoux ha fatto a Cannes destreggiandosi tra i partner Tahar Rahim, in Grand Central, e la giovanissima e dolcissima Adéle Exarchopoulos in La Vie D’Adéle (che ha sostituito il primo titolo Anche il Bleu è un colore Caldo), facendo di lei la rivelazione del Festival che ha gridato a un altro miracolo, quello della liberazione dei costumi che porta a introdurre i matrimoni gay, sperando che il messaggio si diffonda anche in America.
Se sulla liberazione dei costumi non ci piove, sui matrimoni gay ci sarebbe da riflettere. Ma non spetta a me far la morale anche perché a colpirmi non è stato tanto la liberazione dei costumi occidentali che a onor del vero sono stati introdotti già da tempo con la Rivoluzione Francese e Marie Antoinette in testa (senza andar a scomodare i classici e le liriche di Saffo), quanto il fatto che a trasmettere questo messaggio sia un regista medio-orientale per cui sorge spontanea una domanda: perché non ha fatto un film con donne arabe? In fondo, ma proprio in fondo sono loro che hanno bisogno di essere liberate.
Per uscire dall’Harem e farsi i loro lecca-lecca liberamente in pace. Anche questa è rivoluzione ma come detto sopra i problemi in Medio Oriente sono sempre più difficili che non si risolvono con qualche danza del ventre e slinguazzate nella micia. Per amore si intende ma anche per piacere.
 Infatti il film ha vinto il Premio. Piaciute assai.




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