Lo hanno etichettato come un film noioso. Invece Barbarossa è un bel film, curato sia nei particolari che nelle scene di massa. E per un film storico questo è importante.
I costumi soprattutto sono una gioia per gli occhi, tutti confezionati con tecnica artigianale nella lavorazione e nella scelta dei tessuti grezzi sia per quelli popolani che per i nobili, quest’ultimi impreziositi col décor delle corone e gioielli vari. Una scelta fra le più felici che fa ancora una volta affermare il made in Italy come manifattura d’eccellenza. Non per niente i costumisti di maggior richiamo (premio Oscar) sono proprio italiani, ultima delle quali Milena Canonero per Marie Antoinette o Dante Ferretti.
Con questa produzione di Barbarossa, sembra di essere tornati agli antichi fasti del cinema storico italiano, in linea con le opere d’autore di PierPaolo Pasolini e i costumi di Danilo Donati, apprezzati nella trilogia del Decamerone, Il Fiore delle Mille e Una Notte, I Racconti di Cantherbury, oppure Medea ed Edipo Re.
Al Barbarossa si deve aggiungere il valore in più delle armature che osservate da vicino sono piccoli gioielli di intarsi ed intrecci composti da piccoli pezzetti annodati come una sorta di patchwort in vera pelle.
Raffinatissimi e preziosi i copricapi della regina francese Beatrice di Borgogna fra veli monacali e nastri incrociati ad incorniciare il viso dell’attrice Cecile Cassel non bellissima ma di carattere.
Infatti, si è rifiutata di presenziare alla prima del film dissociandosi dalle intromissioni di carattere politico esercitate dalla Lega di Umberto Bossi. Il quale si immedesima fantasiosamente in Alberto da Giussano.
La fantasia al potere era uno slogan che già imperversava negli anni ’70 creando tanti danni, primo fra i quali il voto unico che ha scodellato una generazione di sognatori, vassalli e menestrelli come i componenti la Lega Nord. Nel senso che, suonandosele e cantandosele facendo piccolo comune su
un carroccio, sono arrivati perfino al potere a fianco di un Signorotto che governa dilettandosi a comporre canzoni cantandole ai suoi valvassori circondato da una rosa di donzelle saltellanti e devote. E mica a gratis, ma regolarmente pagate.
Nel film spiccano i due protagonisti: il Barbarossa vecchio leone interpretato da Rutger Hauer molto somigliante a Federico Hoenstaufen nell’immagine, ma non incisivo in quello caratteriale.
A cui dà corpo con una signorilità e aplomb da principe illuminato stimolato all’azione di conquista dall’ambizione della moglie che lui adora, piuttosto che con la sanguigna grinta e zampata che si immagina in un iroso tedesco dal pelo rosso.
L’incazzatura perfetta è invece interpretata con partecipazione da Raz Degan nel ruolo di Alberto da Giussano che porta questa maschera arrabbiata dall’inizio alla fine senza perderla nemmeno nel duettare con una riottosa compagna (Kasia Smutniak) Eleonora nel ruolo dell’invasata (un clichè del periodo medievale) in bilico fra la santa e la strega, come una sorta di Giovanna D’Arco della Padania.
Terra che tutta verde doveva apparire, mentre invece nel film è avvolta in una fitta e intricata vegetazione con ispirazione foresta di Sherwood ad effetto paesaggio dei Carpazi, di cui si respira l’aria davanti alle mura di un Castello che sembra quello di Dracula.
Le scene di guerra sono avvincenti e robuste girate con crudo realismo sia nei duelli corpo a corpo che in quelli di assedio, con le macchine da guerra e le formazioni delle squadre di assalto che sono accompagnate nell’azione da una musica struggente di ispirazione Gladiatore.
L’impronta maggiore nell’ispirazione la segna comunque Braveheart film diretto da Mel Gibbson, con la regina che parla in delizioso francese tradotto con sottotitoli e con l’uro gridato da William Wallace accompagnato da boato dei compagni che riecheggia insieme ad Alberto da Giussano per arrivare fino ai giorni nostri stanco e flebile, privo di quell’aura di passione che infiammava il cuore degli eroi al tempo dei Comuni, impegnati a difendere le loro terre da un tiranno nordico.
Perché il grido che dalla bassa Padana alle terre Venete ora è quello che si eleva in difesa della propria autonomia da una Roma Ladrona, posizionata al sud, dalla quale perfino il Barbarossa era scappato causa pestilenza, non prima di aver raso al suolo Milano e diviso tutti i sopravvissuti in sei file da sparpagliare in altrettante zone, per dimenticare di essere ancora Milanesi.
Impresa ardua anche per il Barbarossa perché Milano è risorta più forte di prima.
Libertà Libertà… in alto la spada è il finale del film.
La Lega invece si è insediata a Roma dividendosi le poltrone “coi ladroni”.
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