Se il film è già contestato, nessuno sicuramente avrà da ridire sui costumi anche se personalmente qualche appunto lo farei:
non tanto per Mosè, Christian Bale e Ramses Joel Edgerton che sono perfetti
quanto per Sygourney Weaver con estroso copricapo e carrè in tessuto color oro, dei quali non c'è traccia fra geroglifici, perchè sembra più ispirato all'art déco.
Il costume di Maria Valleverde nel ruolo della moglie di Mosè Séfora è di ispirazione troppo marocchina piuttosto che ebraica
mentre è perfetta la Nefertari impresonata da Golshifteh Farahani con copricapo egizio in stile Luxor e collana a pietre incastonate.
Tutto l'insieme è comunque molto curato ad effetto mediooriente di biblica memoria.
1- L’EGITTO KITSCH E TRASH
Il cinema si è sbizzarrito in tal senso con produzioni Kolossal nel quale l’Egitto aveva probabilità di essere tale a livello zero.
Zero in condotta per tutti? Io salverei Cecil De Mille perché con i 10 Comandamenti ha illustrato un Egitto a rigor di geroglifici. Ad alto profilo.
A parte la storia già nota nelle sacre scritture, sono i costumi ad attirare l’attenzione perché molto veritieri a partire dai sacerdoti e schiavi per arrivare a Ramses, impersonato da Yul Brynner anche se, più che in costume egizio ha girato spesso in minituniche per lasciare i pettorali in bellavista ad effetto schiavo-Charlton Heston “nel panno ebreo” di Mosè, piuttosto che di Faraone.
Ma non è importante perché l’attenzione è sempre verso la regina, Nefertari in questo contesto (Anne Baxter) la quale era vestita con veli impalpabili nei colori sgargianti e luminosi, turchese in primis.
Perché i colori dell’Egitto sono tutti senza sfumature che van dal bianco o nero, dal turchese al verde, dal rosso all’oro.
Se si escludono alcune tuniche plissè (una lavorazione inventata negli anni 50) in quest film tutto era perfetto perché misurato sia nello stile delle mise che in quella delle parrucche, semplici a frangetta con qualche decorazione in oro giusto per dare un tocco di regalità che raggiungeva il clou con le mitiche collane a mezza luna, tipicamente egizie, con le pietre colorate incastonate a mosaico nei fili in oro che avvolgevano il collo.
Insomma un Egitto di maniera ad effetto elegante e lineare scelto appositamente per accompagnare una storia biblica.
A sbizzarrir la fantasia dei costumisti è l’Egitto delle varie Cleopatre dove ne sono state inventate di ogni con un Egitto rivoltato come un guanto.
Le più clamorose (parliamo di grandi produzioni e non parodie) sono quelle interpretate da Vivien Leigh in una Cleopatra
Shakespeariana (Cesare e Cleopatra) che ha aperto la danza delle sfilate con improbabili copricapi egiziani lavorati in tutte le fogge più eccentriche (uno stile tutto inglese) di gusto decisamente Kitsch.
Il quale ha raggiunto l’apogeo con la Cleopatra di Elizabeth Taylor dove oltre alle mises e fantasiosi copricapi si è caricato anche il make-up inventando appositamente la coda a rondine nell’occhio, di profilo, sulla cui palpebra brillavano pailettes.
E che dire della cuffietta a fiori bianchi su un vestito di voile giallo con vitino a vespa e gonna a palloncino che presentava una Cleopatra più che in procinto di salir sul trono, pronta per un cocktail sull’Appia Antica bordo piscina? Infatti in testa aveva una simil cuffietta da nuoto in gomma con i fiori, molto in uso negli anni 60.
Kitsch to kitsch, Cleopatra è così arrivata ai giorni nostri con in mano un telefonino. Di Cesare.
Inevitale lo scatto alla chiamata con la parodia Vota Antonio, Vota Antonio…
Sì, Antonio la Trippa! Così dal kitsch al trash il passo è stato breve.
Giusto per farne un cult.
“Io me la cavo.
Modestamente me la cavicchio,
me la sono cavicchiata fino adesso
E me la cavicchierò ancora”. (Da Toto’ e Cleopatra).
2- L'AIDA IN UN EGITTO KITSCH E TRASH.
Con in scena l’Aida al teatro Regio di Parma è calata una pietra tombale sui fasti faraonici di questa città, ivi compresa la Fondazione Teatro Regio in un’amministrazione tutta da dimenticare.
Purtroppo a ricordarla sono state le maestranze le quali in un controcanto con quello sul palco hanno vantato i loro diritti al puntuale pagamento degli stipendi.
La platea non era gremita e c’è un suo perché, sentito da un ex consigliere comunale il quale ha mormorato: “Quando era gratis erano tutti qui e non si trovava un solo posto. Adesso che si paga si sono tutti defilati”.
Poco male, restano gli appassionati veri, quelli dell’Opera Lirica e non dello spettacolo in vetrina, con invasione di telecamere, televeline, teleschedine da giocare al tavolo di Verdi. Les jeux sont faits. E che giochi! Il piatto piangeva e giù a puntare sulla soubrettina di turno da esibire... a rimpinguar le casse? No, a rimpinguar e basta con una colpo a destra e uno a manca allo scopo di dare lustro a un Tempio della Lirica come il Teatro Regio che di tutto ha bisogno tranne che di fare rete con le veline di passaggio.
Magari con i format televisivi questo sì, ma il risultato è stato davvero scarso, non all’altezza dell’Opera classica: sbattuta negli show con le romanze cantate fra uno stacchetto e l’altro di ballerine, gags di comici in giuria e presentazioni imbarazzanti affidate a Pupo, ad Antonella Clerici o a Maria De Filippi. Molto bravi a fare il loro mestiere che non è comunque quello di esperti della lirica assurta così a livello di canzonette nel maldestro intento di seguire la strada tracciata da Pavarotti and Firends nonostante Luciano Pavarotti abbia ampiamente dimostrato che un tenore difficilmente riesce a duettare miscelandosi con dei cantanti pop. Unica eccezione è stata con Celine Dion dalla voce divina, a conferma della regola.
Ma torniano al Regio perché l’Aida dopo la protesta, è entrata in scena: lo spettacolo deve continuare fino ad arrivare alla pietra tombale calata sui due amanti. Così si spera, e non sull’opera lirica.
Il dubbio ci assale nel momento in cui si alza la bellissima porta di geroglifici dorata che fa presagire su tutto il resto, anche se la scenografia non troppo originale appaga l’occhio coinvolgendo nell’atmosfera egizia.
Già, l’antico Egitto! Questa è la terra con usi e costumi che si dovrebbe rappresentare senza entrare in confusione come una Torre di Babele del Nabucco perché ci troviamo di fronte a un miscuglio di stili che fan scadere tutto in Kitsch. Amneris (Maria Pentcheva) è in velluto color vinaccia, (Beaujolais o Bordeaux a piacere), tessuto e colori inesistenti all’epoca, impreziosita da un décor di passamanerie francese che va dalla Belle Epoque agli anni’60.
I copricapi invece hanno scatenato la fantasia come a una sorta di sfilata Ascot, di tutte le fogge e di ispirazioni epocali: dalle cuffiette delle Matriosche a quelle di Marco Polo per finire con le tiare dorate delle spose bamboline mediorientali dei souvenirs.
Vabbè che in Cleopatra con Elizabeth Taylor si era arrivato al peggio del kitsch con il mitico copricapo a fiori bianchi simil-cuffietta da bagno tanto in voga negli anni sessanta, facendo per prima dell’Egiptus uno stracult. Kitch appunto
I costumi di Radames (Waletr Fraccaro) non son da meno partendo dalle tuniche dei Lombardi alle Crociate per arrivare al saio della Forza del Destino quando gira per casa, oh pardon, per la tomba.
Lo spettacolo sorprende invece con la sfilata delle guardie che lo portano al suo destino perché finalmente sono nel ruolo rigorosamente vestiti in uso e costume egizio, mentre lascia a bocca aperta la sfilata di comparse e ballerini al seguito: le vestali sono giustamente coperte da veli, ma lo strascico è da red carpet non da Egitto mentre tutto il resto è in stile Avatar come se il popolo Egizio fosse una metafora dei Blu Navy.
E’ forse un omaggio a Parma l’isola felice di antica memoria?
Sì, memoria d’Egitto perché a rinverdirla in Verdi non sono certo le movenze delle ballerine: spiritose e colorate in bleu, mimano le bambole meccaniche mettendosi anche di profilo per inscenare qualche passo di Twist anni ’50. E qui entra in scena l’omaggio a Bianca Balti e la sua Cleopatra Kistch con lo smarphone.
Kitsch to kitsch la prima cosa bella appare finalmente con l’Aida (Susanna Branchini), molto nella parte vestita a modo in uso e costume Etiope con l’acconciatura tipica a treccine montate a torre e fascia pendant con il vestito rosso prugna. Purtroppo a strascico anche lui raccolto intorno al polso come una damina di fine ottocento in contrasto con il petto molto forte straripante, tanto che più che in soprano era in tono baritonale da cantante gospel, come una sorta di Sister Act: soul, soul soul….! Infatti è stata la sola ad essere applaudita con entusiasmo e partecipazione.
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