venerdì 6 settembre 2013

IL MADE IN ITALY VA ANCORA FORTE'?


Dal 18 al 23 settembre 2013 tornano ad accendersi i riflettori sulle passerelle di Milano Moda Donna, la più prestigiosa manifestazione del mondo dedicata alle collezioni prêt-à-porter  primavera/estate 2014.

A differenza di tante giornaliste, come Julia Roberts nel film Pret-a-poter di Robert Altman che restava chiusa in camera d’albergo per pomiciare con Tim Robins facendo i servizi dalla camera con le sfilate in video, le”crudelie” straniere sono tutte presenti ad ogni sfilata per giudicare senza pietà gli abiti griffati.
Le quali sono capeggiate dalla terribile Anna Wintour che detta regole sulle scalette e tempi come una regista americana che si appresti a girare un film con le maestranze del luogo, ingaggiate a costi bassi pronte ad inchinarsi ai suoi ordini, pur di far decollare il made in Italy. A questo punto siamo arrivati, dopo che in America andava fortissimo, distribuito perfino nei Grandi Magazzini (e son soldi, diciamolo, anche per gli stilisti di grande fama).

Il nostro prodotto piaceva eccome tenendo alto il nome dell’Italia e degli italiani in genere. I quali sono invece disprezzati e trattati come sottoposti perché disorganizzati e pigri.
Genio e sregolatezza non fa per gli americani, che non lasciano nulla al caso e all’improvvisazione.
Dopo Anna Wintour   si sono messe in fila anche Sofia Coppola, con una carrellata sulla Tv italiana e sui premi con cui si autocelebra nel suo piccolo orto (visto che i prodotti restano nell’ambito nazionale), e Julia Roberts con le dichiarazioni imbarazzanti rilasciate per la promozione del film Mangia, Prega, Ama sull’Italia in copia cartolina antica e fuori moda.

Insomma il Made in Italy sta ansimando da quanto si desume dalle reazioni degli Americani perché non si spiegherebbero altrimenti queste reazioni scortesi e acidule nei confronti degli italiani.

Che comunque gli americani hanno onorato con un omaggio alla carriera (un premio che si dà alle star sul viale del tramonto, come una sorta di contentino. Paul Newman infatti dopo tanti gloriosi film senza mai ricevere l’Oscar, si è rifiutato di ritirarlo per protesta) del manufatto italiano con un musical importante come Nine,   dimostrando di aver apprezzato tutta la nostra cinematografia in bianco e nero  del genio Felliniano, perché lo scambio artistico Italia-USA è cominciato proprio con La Dolce Vita aprendo la strada alla moda Made in Italy.
Qualcosa però si è rotto, dopo gli anni 80-90, nel 2000 sono cominciate le prime avvisaglie con la calata degli Americani ospitati nelle nostre Tv, come ospiti di Talk Show, di premi, di promozioni e di vari spot, dai quali sono passati tutti, ma proprio tutti, da Meryl Street a Kate Winslet, da Robert De Niro a Dustin Hoffman che abbiamo accolto calorosamente senza però ricevere grandi riscontri in termini di collaborazione in varie produzioni nelle quali ci siamo accontentati di figure minori (seppur valide come la coraggiosa Tilda Swinton per esempio) a volte quasi sconosciute.
Così il made in Italy chiuso in sé stesso ha cominciato a scricchiolare. Complici le patacche che abbiamo loro rifilato? Sì perché da un’inchiesta di Milena Gabanelli su Rai 3 è risultato che molte Maison si servono di laboratori cinesi per i loro marchi con i prodotti distribuiti sul mercato gonfiato nei prezzi.

Con la calata in Italia degli Americani a lavorare nelle nostre Tv aperte loro come una sorta di Back stage,  abbiamo svelato tutti i nostri segreti e le piccole miserie di una Italia piccola piccola e un po’ pressappochista diciamolo: giornaliste con le tette fuori (ben lungi dalla anchor-woman americane che sull’informazione non transigono, badando molto alla sostanza più che all’apparenza) orpelli e pacchianate a gogò, conduttrici straniere che non si traducono in inglese perché non san parlare in italiano, show girl che non san né ballare né cantare, attori e attrici protagonisti di fiction senza un curriculum alle spalle come in America dove cominciano a farsi le ossa da bambini.

Era meglio se si continuava con la passerella, puntando sull’unico prodotto veramente efficace come il pret-a-porter dove la manualità e la materia prima sono d’eccellenza, secondi a nessuno. Il Back stage televisivo si poteva evitare.


Se il feeling con gli Usa nel cinema è in agonia e la Tv gli ha dato il colpo di grazia, il posto d’onore nella moda si continua a riservarlo ad Anna Wintour, la quale ha già dimostrato a chiare lettere di essere allergica alle nostre sfilate in passerella per via dei tempi e modi di cottura. Molto fumo e poco arrosto? Si vedrà, sperando per il meglio, sicuri che il fumo è quello che si porta appresso Anna Wintour. Con quel caschetto corto e gonfio tutt'uno con la frangia simil Matilda del film Leon, è decisamente ridicola e fuori moda.
Un’americata. E diciamoglielo, perdinci! Non per nulla Meryl Streep nel Diavolo Veste Prada dove interpretava la Wintour ha cambiato completamente la pettinatura con una più consona a una manager dirigenziale che comunque aveva esaltato alla grande Marisa Belisario, avanti più di tutte, l'unica vera
autorevole testimonial del made in Italy.
                 

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