domenica 2 giugno 2013

L’ACTOR MARLON BRANDO

           
 Quando è apparso per la prima volta, ha segnato l’impronta sullo schermo.
Un’impronta profonda come i film da lui interpretati agli esordi: Il Selvaggio e Fronte del Porto, sempre in ruoli di rozzo e prepotente che facevano di lui il sex symbol più animalesco del cinema. Una forza bruta manifestata alla perfezione nel Tram che si Chiama Desiderio in cui si proponeva in tutta la sua maschia virilità con petto peloso e canotta sudata, duettando con la raffinata nobile e spocchiosa Vivien Leigh alla quale dava una lezione  in stile homo eroticus, violentandola brutalmente.
Questo per tutto l’arco dei film in bianco  nero perché quando passò al colore fece ancora più scintille.
Con Giulio Cesare nel ruolo di Marc’Antonio si riproponeva di pelle vestito con mini-tunica da antico romano che metteva in mostra il suo fisico scolpito a gambe muscolose, definite le più belle di Hollywood le quali galvanizzavano le platee più di quanto non potesse la sua recitazione di alta maestria applicata grazie al rigoroso metodo  appreso all’Actor’s Studio.
 Un metodo che affinava sempre più fino a trasformarlo da rozzo operatore  a ufficiale gentiluomo nell’Ammutinamento del Bounty che girava fra gli atolli di Haiti  innamorandosi perdutamente della protagonista che le si offriva con una danza del ventre ossessivamente ancheggiata al suon del tambur battente.Un suono che lo faceva pulsare da cima fino là, dove era abituato a travolgere come un fiume in piena: donne, amanti, mogli e indigene che sono state tutto un susseguir nella sua vita, accompagnate da fardelli di figli sparsi in ogni dove, sfornati a ritmo accelerato all’insegna del tutto genio e sregolatezza sublimato mirabilmente in quel tango scivolato nel burro ad effetto sodomizzante, con caskè di Maria Schneider finita fra le sue braccia.
Dentro la sua patta hanno messo mani in tante, dall’ultima camerierina dell’hotel di Tapioca, fino ad arrivare a Jaqueline Kennedì che lo ha tastato fra una vedovanza e l’altra, passando anche da un Jack Nickolson dalla nomea di sciupafemmine, dopo essersi scambiato con lui un lingua in bocca nel film Missouri.

Le vicende familiari lo hanno segnato drammaticamente con scenate alle ex mogli e amanti ed ai loro figli rinnegati, nonchè figli legittimi, che hanno fatto impazzire la moglie indigena Tarita, senza riuscire a scalfire la sua tempra di duro tout court. Al processo del figlio omicida (che ha ucciso il fidanzato della sorella) la sua arringa svolta sulla falsariga del Padrino ad autorevole testimonianza,è stata più carismatica, ma senza esito, di quella del legale alla difesa.

Attore fino all’ultimo, senza mai riuscire ad essere uomo per un solo istante, nemmeno nell’unico che gli si era presentato impellente in quel frangente, per dimostrare d’essere stato padre almeno per un figlio.
 Che ha perso, insieme alla sorella, la sua prediletta Cheyenne, prima di spirare lui stesso. Così piegato dal dolore e dalla vita come ogni comune mortale.
           







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