venerdì 21 giugno 2013

NEL CINEMA ITALIANO TROPPI LUCCHETTI E CINTURE DI CASTITA'

. Ormai è Cannes il punto di riferimento per l’Europa per i festival cinematografici, dopo segue Berlino perché Venezia è troppo interessata alle produzioni Tv  ed il Festival di Roma non riesce a decollare perché disertato dagli attori internazionali.

In Italia per festeggiare il Cinema Italiano con un Premio ai protagonisti abbiamo appena assistito al Premio David Donatello su Rai Uno,  triste come tutti gli ultimi anni a questa parte. Viene alla memoria uno di questi nel quale Stefania Sandrelli aveva letto una lettera di protesta perché lo Stato non sgancia più soldi per il cinema. I bei tempi con Walter Veltroni che aveva iniziato il suo mandato con la citazione “Che la forza sia con noi”, tratta da Guerre Stellari, sono finiti. Ma non la forza lavoro, perché a lavorar nel cinema piace a tanti.Troppi, ma tirano poco.
Perché il cinema italiano è spocchioso ancorato nel piccolo mondo di intellettualoidi che se la tirano compiacendosi nel raccontare storie condominiali, di cortile e di provincia difficili da esportare.
 E’ pur vero che bisognerebbe difendere il proprio prodotto ma è anche vero che bisogna riconoscerne i difetti.
Il cinema italiano è afflitto da provincialismo: noi produciamo storie dice la Sandrelli. Sì ma sono troppe e quasi tutte uguali o di scarso interesse. Noi non ci fermeremo perché vogliamo continuare a raccontare le nostre storie: con i soldi di tasca propria, e col rischio di rimetterci, perché no? L’importante che tutta la serie di flop non abbia il marchio “E io pago” dello Stato.
Il cinema italiano bisogna prendere atto che non è più quello di una volta. Hanno successo, facendo il tutto esaurito, i cinepanettoni perché sotto le feste le famiglie vanno al cinema in massa, ma non sono certo film di qualità. Di film italiani d’autore e di qualità ce ne sono diversi questo va detto, ma ci sono anche tante commediole sul genere delle fiction Tv cosicché sommate tutte insieme hanno saturato il mercato di storielle improvvisate e superficiali che crescono come funghi, perché girate in poche settimane e senza grandi sforzi. Se le fiction si guardano anche volentieri, sprofondati nelle poltrone di casa propria tra uno zapping e l’altro, difficilmente uno si scomoda per andarle a rIvedere riproposte al cinema con gli stessi attori che in Tv fanno gags spassose ed esilaranti, non risultando credibili come protagonisti e funzionando solo come macchiette negli spot. I numeri al botteghino comunque parlano da sé.
Tornando a Cannes, per attirare il mercato internazionale si è cominciato ad aprire il Festival con produzioni Kolossal Hollywoodiane. Una di questi è stato il Robin Hood di Ridley Scott, molto atteso perché già ampiamente pubblicizzato per la presenza di Russel Crowe di cui riecheggiava una citazione: “Resistere resistere…finchè gli agnelli non diventeranno leoni”.
Ecco, questo sì che è cinema: uno spettacolo che non bisognerebbe farsi assolutamente mancare, per il quale valga la pena spendere un biglietto. Produzioni in cui, se uno ha investito un euro se lo ritrova moltiplicato all’infinito, nell’eternità.
Detto questo, sembra giusto rivolgere l’attenzione alla protagonista femminile, Cate Blanchett in un ruolo come al solito molto rude e tosto: “Stanotte dormiremo insieme: io col mio pugnale. Se proverete a toccarmi vi taglierò…la virilità” zac! Così parla Lady Marion, asciutta e vigorosa mentre lui, Robin Hood, controbatte gentilmente con voce calda e avvolgente: “Vi ringrazio di avermi avvisato”. Una coppia destinata a far scintille annunciate. E così è stato.
Cate Blanchet è un’attrice di classe che si è messa in luce con film in costume, della serie Elizabeth (molto più bello il primo del secondo) dove con la sua bellezza austera e algida ha saputo dare corpo a un personaggio autorevole come quello della Regina Elisabetta I. Prima di questi ha interpretato anche la fata dei ghiacci ne il Signore degli Anelli e ora è la volta di Robin Hood.
In realtà le miglior interpretazioni le ha date con i film in abiti moderni, come Il Curioso Caso di Benjamin Button o meglio ancora con Diario di uno Scandalo. In quest’ultimo film ha messo in risalto una femminilità molto dolce e sensuale dando una svolta sorprendente alla sua carriera, che sembrava destinata a ruoli sempre molto ruvidi e mascolini. Nel Diario di uno Scandalo colpisce per la particolare eleganza che traspare da un’informe cappotto scozzese che mette in luce quando indossa una camicetta di seta fluttuante e sexy. La stessa che sfila per sedurre un ragazzino con il quale si accoppia di nascosto mentre un’amica la spia morbosamente perché innamorata di lei. La scena di seduzione fra lei e il ragazzino è molto esplicita e molto credibile per la capacità dell’insegnante Cate di entrare in sintonia con il mondo e il linguaggio del ragazzino, tanto da sembrare tutto normale e naturale l’attrazione che scatta fra di loro. Attrazione fatale perché scombussolerà la vita di tutti.
Il film, di produzione inglese, è semplice e introspettivo della vita di una scuola con i problemi del quotidiano e relativi scandali. Un film che poteva benissimo essere girato anche da un autore italiano. Ora la domanda è: perché questo film ha fatto il giro del mondo?
Perché gli attori sanno recitare, provengono dal teatro e tutti, donne e ragazzini compresi, sono dotati di “due palle così”. Questa è la verità. Quello che manca al nostro cinema sono le palle. Se uno osa appena tirarle fuori… Zac! A regime! Cinepanettone e accoppiate col lucchetto.



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