1- OSCAR 2013, CHE NOIA CHE BARBA

Il quale se non l’avesse adottata non avrebbe dato spessore militare al personaggio.
Sotto la barba infatti si nasconde un fico. Un tempo si diceva che la barba era prerogativa degli uomini insicuri che con tutto quel pelo in faccia volevan dimostrare d’essere virili perché la barba lunga e incolta faceva da corredo ai soldati in guerra che, giustamente, non avevan rasoi e saponi pronti alla bisogna.
E’ comunque un’usanza medioevale perché nel periodo classico greco-romano gli uomini si rasavano completamente o quanto meno curavano la barba a filo rasoio così come era stato immortalato anche Il Gladiatore con Russel Crowe.
Dunque l’Oscar 2013 segna il ritorno della barba che molti giovani stanno già sfoggiando orgogliosi di sembrare cavernicoli. Via le cravatte, camice con l’orologio al polso, doppio petto e quant’altro d’ingessato perché l’uomo che va ora è il selvaggio stropicciato, con laurea come optional tanto resta inutile,
magari con gonne sotto la giacca, camice sgarcianti e spille all’occhiello al posto di un fiore.
Già perché il fiore come la laurea è un orpello inutile perché anche la donna ora si fa guerriera come nell’accoppiata Kathryn Bigelow e Jessica Casthain che, contrariamente alle previsioni non hanno vinto.
E qui subentra la noia perché non c’è Lato Positivo che tenga. Infatti Jennifer Lawrence, che non è laureata tanto per chiarire, ha vinto l’Oscar proprio con questo film che comunque sembra voglia lanciare il lavoro di The Unger Game del quale è già pronto una serie di altri tre film già girati dalla Lawrence.
A dettare il trend sarà la spietata competizione che i giovani dovranno affrontare nei prossimi anni, per sopravvivere alla crisi pena l’eliminazione fisica dalla vita sociale.

Ecco allora che appare il piccolo indiano della Vita di PI, diretto da Ang Lee, a dimostrare che quando si ritorna alla vita delle caverne per combattere contro una tigre feroce nella lotta alla sopravvivenza, bisogna essere allenati a prenderla come un indiano. La Tigre, ovviamente, che il piccolo indiano affronta con astuzia facendo finta di non sentire il suo terribile ruggito con il quale come una sorta di tigre della Malesia la fiera lo circonda per mangiarselo vivo.
Per i cinesi l’America è sempre stata vista come una Tigre di Carta per cui premiando Ang Lee, regista cinese ma naturalizzato in America, praticamente riconosce la Cina e l’India come le Due Superpotenze del mondo, tagliandoselo in toto facendo Harakiri giapponese con Katana. Zac!
Tendenze tendenze…Les Miserables, a conferma della guerra fra poveri in agguato, con vittoria per Anne Hathaway sulla quale non c’erano dubbi. Brava, elegante anche vestita di stracci è comunque rimasto immortalato quell’attimo di un suo sorriso smagliante ad illuminare l’opera di Victor Hugo versione musical tornato agli antichi fasti Hollywoodiani con scenografie curate e sontuose delle quali comunque si sente la mancanza del balletto, indispensabile per rendere un musical accattivante.
Infatti tra il pubblico non ha fatto scintille anche se va riconosciuto un grande merito a tutti gli attori protagonisti e non. Ma che non ci fossero dubbi sulla Hathaway lo dimostra anche il bacio d’amicizia ricevuto da Amy Adams: fra le due cenerentole a confronto, quella moderna di Anne né il Diavolo veste Prada e quella di Cartoon di Amy in una Cenerentola a New York, la Adams ha vinto come Cenerentola di Cartoon perché molto attesa come Loys Lane a fianco di Henry Cavill in Superman con tanto di barba pure lui.
Se l’Oscar può aspettare la prova box office è destinata a renderle giustizia.
Ed è proprio il senso di giustizia che ha animato l’Oscar 2013 premiando Christoph Waltz come non protagonista di Django Unchained nel quale svolge un ruolo di cacciatore dello spietato negriero Leonard Di Caprio, offrendo la statuetta come protagonista a Daniel Day Lewis nel ruolo del Presidente Lincoln passato alla storia per aver dato la libertà agli schiavi neri.
Un grande escluso è comunque l’attore di colore Denzel Washington con il film Flight che non ha convinto come pilota esperto ma vizioso.
Per fugare ogni ombra di razzismo è stata chiamata Michelle Obama che, senza scomodarsi dalla poltrona della Casa Bianca, ha letto il nome del vincitore del film ARGO perché basato su storia vera nel quale gli Americani fan la loro figura.
Morale della favola da Oscar: i giovani saranno impegnati in una guerra tra poveri genere Hunger Game nei quali la competizione spietata li porterà a fare quei lavori bassi che facevano gli immigrati.
3- HUGH JACKMAN IL MANDRIANO
L’acconciatura corta come quella del lugubre The Others ci porta a fare una domanda: ma la lussureggiante chioma che la Kidman esibisce al “naturale” è una parrucca? Ecco questa sì che è una delusione, come lo sono quelle labbra gonfie che, evidenziate in primo piano, fanno rimpiangere l’attrice prima maniera, cioè prima dell’esplosione di “Moulin Rouge” e durante la lavorazione di “Eyes Wide Shute”in cui ha raggiunto l’apice. Lo star sistem ora l’ha un filo sistemata alla maniera di tutte le altre dive in perfetta omologazione. .
Tutto il resto era perfetto: la natura selvaggia da Gran Canyon il cui silenzio maestoso viene oscenamente rotto dai bombardamenti giapponesi, il vecchio mago aborigeno, i cavalli di razza magnifici stalloni, il purosangue e scalpitante Capricornia da far “coprire”, e per finire il bambinetto mezzo sangue bellissimo e furbetto che con il motivetto “Io mi canto a Te”, ha strappato le lacrime. Tre ore, ma passate in fretta per poi uscire con la voglia di scappar dalla città per immergersi nella natura fra i fiori gli alberi e gli animali, lontani da tutti e solo col tuo amore. Troppo romantico e poco reale? I film servono a questo: a farci sognare.
3- L'UOMO SELVAGGIO VA A SUON DI MUSICA
L'abbiamo già detto parlando di Rock of Ages e lo confermiamo: è’ di moda il selvaggio.
Sì, ma non più alla Marlon Brando con la canotta sudaticcia di Un Tram che si chiama Desiderio, e i bicipiti scolpiti di Giulio Cesare dove faceva il Marc’Antonio, personaggio poi ereditato da Richard Burton con Cleopatra.
I nuovi selvaggi sono perdenti tout court, si fa per dire, perchè
dotatissimi, ma con filo di pancetta e molto sfigati non riuscendo ad esternare il loro talento
perché sovrastati dalle donne che li schiacciano senza pietà.
Eppure ci san fare con le donne, ci danno che ci danno, ma niente da fare.
Le donne guardano al fighetto di classe e giuggiolone, oppure si ammirano allo specchio o ancor meglio si guardano in faccia fra di loro ammiccando spudoratamente.
Uno di questa specie selvaggia ad essere lanciato sul mercato cinematografico è stato Josh Brolin che l’occhio lungo di Woody Allen ha individuato fra le produzioni del cinema indipendente dove si annidano talenti di spessore (qualche volta in odor di terrorismo come ingiustamente accusato Brolin) che hanno solo bisogno di una mano.
Eppure ci san fare con le donne, ci danno che ci danno, ma niente da fare.
Le donne guardano al fighetto di classe e giuggiolone, oppure si ammirano allo specchio o ancor meglio si guardano in faccia fra di loro ammiccando spudoratamente.
Uno di questa specie selvaggia ad essere lanciato sul mercato cinematografico è stato Josh Brolin che l’occhio lungo di Woody Allen ha individuato fra le produzioni del cinema indipendente dove si annidano talenti di spessore (qualche volta in odor di terrorismo come ingiustamente accusato Brolin) che hanno solo bisogno di una mano.

Perché impegnarsi se il lavoro lo puoi trovar già fatto? Potrebbe essere
il messaggio che si ricava da questo film. Tanto
basta per fare di Josh Brolin il nuovo sex symbol dell’uomo maturo in
bilancio sentimentale la cui speranza è racchiusa ormai nella musica
delle corde di una chitarra di un’indianina la quale gli apre un
nuovomondo che lui affronta scendendo in strada con la

Un flash che lo ha immortalato portandolo all’olimpo delle star.
Ad aprire questa serie di uomini duri e di carattere ostico era stato
l'occhio della regista Jane Champion in Lezioni di Piano con Keith
Harvey il quale, mettendosi a nudo davanti alla damina in crinoline che
suonava il pianoforte, suscitava in lei una passione irrefrenabile che
la spingeva ad assalirlo per farselo senza alcun pudore, rischiando
perfino di perdere un dito.
E’
sempre Jane Champion a mettere sullo schermo un altro tipo sul genere
brutale, stavolta senza classe ma con molto scanzonato sex appeal capace
di sciogliere tutta la categoria delle maestrine inibite e single. E’
quel Mark Ruffalo di In The Cut che esordiva con la celebre frase:
“Signora vuole che diventi il miglior amico della sua fica e gliela
lecchi tutta?”
Infatti Meg Ryan la maestrina se lo faceva amico senza comunque abbassar
la guardia, giusto il tempo di fare insieme qualche scopata per dare un
senso al film. Questo secondo la visione di Jane Champion. Sì perché il
senso della vita in quel film era proprio la performance dal vivo di
Meg Ryan che finalmente,dopo tanti partner fighetti sullo schermo,
sfociava in un orgasmo a letto fra le lenzuola, senza però riuscire a
far dimenticare quello del Ristorante di Harry ti Presento Sally.
L’erotismo verboso infatti fa sempre molta presa, là dove ogni cosa è chiamata o urlata col suo nome, papale papale.

L’erotismo verboso infatti fa sempre molta presa, là dove ogni cosa è chiamata o urlata col suo nome, papale papale.
Ma
pane al pane e vino al vino non avevano ancora fatti i conti con la
miscela più gustosa di pane e vino che va al di là dell’esperienza
mistica per toccare quella più terrena.
Infatti Mark Ruffalo è il protagonista di una storia d’amore particolare
I Ragazzi Stanno Bene dove si insinua in un rapporto facendo scoppiare
una coppia lesbo (formata da Julianne Moore e Anne Bening).
Un idillio lecca lecca che Mark Ruffalo riesce a rompere facendolo
vedere alla più sensibile in questo senso, ovvero Julianne la quale,
alla vista del suo gioiello perde la testa facendosi cavalcare di brutto
in un trotto e galoppo devastante. E in entrambe le posizioni.
Ahhhhhh!
Un
galoppo che Mark Ruffalo esprime in maniera gagliarda portando in
trionfo il fallimento della sua esistenza: quella che si era fatta
sfuggire mettendo il suo seme in una banca (raccolto poi dalla coppia
lesbo per fare due figli) dando così un senso compiuto alla vita di
tutta la famiglia, imprimendo come una sorta di sigillo il suo motto:
sono solo io il maschio, e qui ce n’è per tutte!
Il film non ha vinto l’Oscar: come messaggio di legalizzazione delle
coppie di fatto e matrimonio gay non è stato infatti recepito proprio
per questa galoppata etero e liberatoria che lo ha reso poco
convincente. Infatti la Legge è ancora in ballo. E Mark Ruffalo pure
perché l’ultima accoppiata la fa con Keira Knigthley nel film Can A Song
Save Your Life?dove cantano la stessa musica. Sì perchè se la cantano e
se la suonano all’unisono, ma ognuno con la sua chitarra e il suo
microfono.

Lui comunque punta, fumando come un turco, al centro di lei che invece, sussurrando delicatamente
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