mercoledì 27 febbraio 2013

L'AMORE AL TEMPO DI EXCALIBUR E BARBAROSSA





























Tempo di Remake, perchè no
n ci sono più idee e perchè non ci sono più grandi star.
Le giovani esordienti studiano tutte da Grace Kelly (Gwyneth Paltrow) da Sofia Loren (Monica Bellucci) e da Audrey Hepburn (Julia Ormond e da ultimo Keira Knghtley)
Stranamente le due ultime impegnate entrambe in un remake sulla saga dei cavalieri della tavola rotonda, rispettivamente con il film Il Primo Cavaliere e King Arthur.
Se King Arthur ha stupito con la rivelazione di una Keira Knightley in versione guerriera,
Il Primo Cavaliere di genere pomposo e Hollywoodiano  nonostante i nomi altisonanti e di alto profilo quali Richard Gere, Julia Ormond e Sean Connery), non è riuscito ad eguagliare l'originale


della serie, ovvero il film Excalibur girato con attori quasi sconosciuti al grande pubblico che rimane sempre il più magico e fascinoso.
Se la storia è sempre quella dipanata nel triangolo amoroso del Re Artù con Ginevra e Lancillotto, i film si differenziano parecchio.
Il Primo Cavaliere insiste con toni fin troppo esasperati, con il bacio continuo e ossessivo che Lancillotto cerca  di strappare a Ginevra incentrando la storia sul corteggiamento di lui un po' pirata un po' artista senza arte nè parte e la ritrosia di lei.
La quale la porta avanti per tutto il film fino a non poterne più nel trattenere il bacio, che alla fine imprime sulle labbra di Lancillotto con tutta la forza della sua passione repressa.
Ahinoi non abbastanza e al punto giusto, perchè proprio in quel momento arriva il Re che si defila signorilmente lasciando i due a bocca aperta e col sapore amaro del tradimento in bocca.

Ben diverso è lo spirito che anima invece il film Excalibur, che tratta ampiamente la saga celtica dando spazio ai personaggi di contorno come il Mago Merlino, la Fata Morgana Uther e Igrane, la fata del Lago, Mondred e Parsifaal.
L'atmosfera che si respira è decisamente più intrigante e misteriosa, con  ambientazioni suggestive come il bosco notturno in cui vaga Merlino fra Gufi e civette al suono della colonna sonora, la maggior parte tratta dal Carmina Burana, che sembra squarciare le tenebre accompagnando trionfalmente le gesta dei cavalieri.

Le scene sono piene di battaglie e duelli all'ultimo sangue che scatenano gli istinti primordiali da soddisfare a tutti i costi senza guardare in faccia a nessuno, tanto meno a quel marito che, da buon padrone di casa, faceva esibire la moglie (Katrine Boorman in realtà figlia del regista) in un ballo sensuale per deliziare gli ospiti.

 https://www.youtube.com/watch?v=1YOL-Cm5RmQ

"Balla Igrayne" le ordinava lui mentre lei si alzava iniziando ad ancheggiare accompagnata da un vestito a rete che faceva girare ossessivamente davanti a un tavolo di cavalieri in piena tempesta ormonale i quali ritmavano come ossessi ululando senza ritegno sbattendo i pugni sul tavolo, come una sorta di uno stupro di gruppo.
Consumato realmente solo dal loro Capo Uther che preso da libidine lussuriosa una notte violentava Igrayne spogliandola nuda e facendola sua con indosso ancora l'armatura, rubata al marito, sullo sfondo di un camino ardente.
Scene come questa non sono certo all'altezza di girare Richard Gere e Julia Ormond che, in confronto sembrano due dilettanti.



Ma non è certo il sesso, nè gli artifizi della fata Morgana per avere un figlio
 che assomigli a un Dio, nè tanto meno l'amore del re e la regina con il suo cavaliere a creare la magia e il grande appeal perchè il film ruota intorno allo spirito della spada Excalibur e al Calice del Sacro Graal.



Il maschile e femminile sacro che si uniscono per formare un nucleo pieno di energia capace di dare origine a una epopea basata sui principi dell'amor cortese e cavalleresco descritti nel Vangelo, che ha raggiunto il culmine nel romanticismo del secolo ottocentesco fino quasi a svanire ai giorni nostri.
Svanire non è il termine giusto perchè si è trasformato sotto forma di sette occulte e non,sparpagliate per il mondo le quali si sono arrogate il diritto di perpetrarne la specie, senza mantenere lo spirito puro originale.
Sette che prendono tanti nomi da Scientology a MASSONI le quali hanno mantenuto l’ideale puro, sì ma lucrativo. Perfino il movimento Lega iniziato con la Spada in Pugno contro Roma Ladrona si è poi mescolata ai ladri al grido del boss  “Tengo Family”.
Tutta un'altra musica.

   

                                     BARBAROSSA


Lo hanno etichettato come un film noioso. Invece Barbarossa è un bel film, curato sia nei particolari che nelle scene di massa. 
E per un film storico questo è importante.
I costumi soprattutto sono una gioia per gli occhi, tutti confezionati con tecnica artigianale nella lavorazione e nella scelta dei tessuti grezzi sia per quelli popolani che per i nobili, quest’ultimi impreziositi col décor delle corone e gioielli vari. Una scelta fra le più felici che fa ancora una volta affermare il made in Italy come manifattura d’eccellenza. Non per niente i costumisti di maggior richiamo (premio Oscar) sono proprio italiani, ultima delle quali Milena Canonero per Marie Antoinette o Dante Ferretti.


Con questa produzione di Barbarossa, sembra di essere tornati agli antichi fasti del cinema storico italiano, in linea con le opere d’autore di PierPaolo Pasolini e i costumi di Danilo Donati, apprezzati nella trilogia del Decamerone, Il Fiore delle Mille e Una Notte, I Racconti di Cantherbury, oppure Medea ed Edipo Re.

Al Barbarossa si deve aggiungere il valore in più delle armature che osservate da vicino sono piccoli gioielli di intarsi ed intrecci  composti da piccoli pezzetti annodati come una sorta di patchwort in vera pelle.


Raffinatissimi e preziosi i copricapi della regina francese Beatrice di Borgogna fra veli  monacali e nastri incrociati ad incorniciare il viso dell’attrice Cecile Cassel  non bellissima ma di carattere.
Infatti, si è rifiutata di presenziare alla prima del film dissociandosi dalle intromissioni di carattere politico esercitate dalla Lega di Umberto Bossi. Il quale si immedesima fantasiosamente in Alberto da Giussano.





La fantasia al potere era uno slogan che già imperversava negli anni ’70 creando tanti danni, primo fra i quali il voto unico che ha scodellato una generazione di sognatori, vassalli e menestrelli come i componenti la Lega Nord. Nel senso che, suonandosele e cantandosele facendo piccolo comune su
un carroccio, sono arrivati perfino al potere a fianco di un Signorotto che governa dilettandosi a comporre canzoni cantandole ai suoi valvassori circondato da una rosa di donzelle saltellanti e devote. E mica a gratis, ma regolarmente pagate.
Nel film spiccano i due protagonisti: il Barbarossa vecchio leone  interpretato da Rutger Hauer molto somigliante a Federico Hoenstaufen nell’immagine, ma non incisivo in quello caratteriale.
A cui dà corpo con una signorilità e aplomb da principe illuminato stimolato all’azione di conquista dall’ambizione della moglie che lui adora, piuttosto che con la sanguigna grinta e zampata che si immagina in un iroso tedesco dal pelo rosso.



L’incazzatura perfetta è invece interpretata con partecipazione da Raz Degan  nel ruolo di Alberto da Giussano che porta questa maschera arrabbiata dall’inizio alla fine senza perderla nemmeno nel duettare con una riottosa compagna (Kasia Smutniak) Eleonora  nel ruolo dell’invasata (un clichè del periodo medievale) in bilico fra la santa e la strega, come una sorta di Giovanna D’Arco della Padania.



Terra che tutta verde doveva apparire, mentre invece nel film è avvolta in una fitta e intricata vegetazione con ispirazione foresta di Sherwood ad effetto paesaggio dei Carpazi, di cui si respira  l’aria davanti alle mura di un Castello che sembra quello di Dracula.
Le scene di guerra sono avvincenti e robuste girate con crudo realismo sia nei duelli corpo a corpo che in quelli di assedio, con le macchine da guerra e le formazioni delle squadre di assalto che sono accompagnate nell’azione da una musica struggente di ispirazione Gladiatore.

L’impronta maggiore nell’ispirazione la segna comunque Braveheart film diretto da Mel Gibbson, con la regina che parla in delizioso francese tradotto con sottotitoli e con l’uro gridato da William Wallace accompagnato da boato dei compagni che riecheggia insieme ad Alberto da Giussano per arrivare fino ai giorni nostri stanco e flebile, privo di quell’aura di passione che infiammava il cuore degli eroi al tempo dei Comuni, impegnati a difendere le loro terre da un tiranno nordico.
Perché il grido che dalla bassa Padana alle terre  Venete ora è quello che si eleva in difesa  della propria autonomia da una Roma Ladrona, posizionata al sud, dalla quale perfino il Barbarossa era scappato causa pestilenza, non prima di aver raso al suolo Milano e diviso tutti i sopravvissuti in sei file da sparpagliare in altrettante zone, per dimenticare di essere ancora Milanesi.
Impresa ardua anche per il Barbarossa perché Milano è risorta più forte di prima.
Libertà Libertà… in alto  la spada è il finale del film.
                                                 



La Lega invece si è insediata a Roma dividendosi le poltrone “coi ladroni”.

Nessun commento:

Posta un commento